venerdì 2 giugno 2017

C.K. Harp in racconto: "Un'estate fuori programma" (#7)


Dopo una breve pausa scrittura dell'autrice (Caccia finale sta arrivando!) torna Un'estate fuori programma.
Avevamo lasciato Roberto all'entrata di una discoteca in compagnia del suo desiderio più grande e di tanti dubbi. 
Cosa  si sarà inventata questa volta C.K. Harp? Scopriamolo nella settima puntata! 
Un chick lit in chiave lgbt per prepararci alla bella stagione e sorridere alle occasioni che ci presenta la vita... e un'estate fuori programma.
Non dimenticate di lasciare un piccolo segno del vostro gradimento qui sotto!

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Capitolo 7

Sto succhiando dalla mia cannuccia come se da questo dipendesse la mia salvezza, ma lo so che tanto non accadrà. Odio la musica da discoteca, odio i corpi sudati che si appiccicano tra loro, odio l’aria viziata, la puzza della gente, la saliva che schizza, l’esagitazione, la voglia di divertirsi a tutti i costi, la roba che si fanno per tirarsi su, il fatto di non poter parlare, e poi… 
«La vuoi smettere?» mi urla nell’orecchio Cinzia, catapultandosi addosso alle mie spalle come un sasso del cazzo dopo una valanga. 
Ecco, io odio le valanghe! 
«E tu si può sapere perché non hai detto a nessuno che mi stanno sul cazzo questi posti?» le chiedo, inviperito, osservandola mentre mi si siede di fianco. Mi sono spostato sul divanetto per non essere costretto a venire sballottato da una parte all’altra della pista, ma i guai mi seguono. 
It mi segue. 
«Non hai nessun motivo per comportarti così» mi contraddice lei, scuotendo la testa. Mi è talmente vicina, pur di farsi sentire, che posso sentire la menta ormai svanita della sua gomma da masticare, il profumo misto al sudore, e l’odore della sua pelle che la rende lei. Lei e nessun’altra. La vedo che si asciuga la fronte con una mano e poi si sporge in avanti per afferrare la sua birra. «Non ho mai capito perché sei così stupido» aggiunge. 
E grazie tante, stronza. 
«Io non ho capito cosa vuoi dalla mia vita, invece» controbatto, allontanandomi. Striscio col culo sul divanetto e approdo al lato opposto, guardando in cagnesco la cugina di It che adesso mi lancia occhiate di commiserazione. E certo, perché io sono il povero insettucolo da biasimare… 
Stringo i denti, mi getto di nuovo sulla cannuccia e succhio il cocktail dolciastro che hanno insistito affinché bevessi. Tutti e tre: Cinzia, Davide e… Achille. 
A proposito di lui… Mi guardo intorno, cercandolo con lo sguardo, ma in tutta la bolgia che affolla il centro del locale è praticamente impossibile. 
Quanto può resistere uno come me in un posto come questo? Quanto, prima che i ricordi che sto cercando di cancellare in ogni modo tornino a galla, facendomi precipitare in uno stato d’animo che ho faticato tanto per abbandonare? 
«Ok, basta, tutto questo è ridicolo» borbotto, lasciando il mio bicchiere svuotato per metà sul tavolino. Mi alzo, mi sistemo i pantaloni, quindi faccio un passo in avanti per andarmene, ma un braccio abbranca il mio e mi blocca. 
«Dove vai?» 
Eccolo… Eccolo il mio inferno personale, l’uomo più figo che abbia mai visto e che non ho capito ancora cosa diavolo cerchi in me, da me… 
Oddio: su di me?! «A casa» urlo, avvicinandomi quel tanto che basta per farmi sentire, poi mi allontano con la testa e torno a osservarlo. Il suo profumo intenso è ancora sotto il mio naso, nei miei polmoni, e… cazzo, mi sta stordendo. Come fa a essere così fottutamente eccitante? 
Lui non risponde, ma sento la sua mano che stringe la mia pelle, all’altezza dell’avambraccio. Ma che diamine… Si avvicina, mi sfiora la guancia con la sua, poi mi tocca il lobo dell’orecchio con le labbra calde. 
«Rimani… balla con me.» 
Oh. Cristo. 
Ho una scarica di brividi che mi sta devastando lo stomaco, per non parlare del mio amico in basso che ormai sta agitando la mano con fin troppo entusiasmo. Ma io non posso… Soprattutto ballare in mezzo a tutta quella gente. È stato un errore, e lo è stato pure accettare di uscire con quella stronza di mia sorella che ha la sensibilità di una cimice. Lei c’era quella sera, ha visto come si stavano mettendo le cose… 
Guardo Achille negli occhi, i lampi di luce della discoteca che illuminano le sue iridi a sprazzi, e sento che per lui, se davvero fosse quello che spero, potrei dimenticare. Non così, però, non adesso. 
Non senza la certezza di potermi fidare sul serio di lui. 
Scuoto la testa, stringendo le labbra, poi mi divincolo e indietreggio di un passo. Oddio, perché adesso mi guarda così? Sembra deluso, sembra… Dovrei spiegarmi, dovrei dirgli perché non posso stare qui, ma alla fine cosa cambierebbe? Penserebbe soltanto che sono un ragazzino. 
E lo sono, no? Quanti cazzo di anni abbiamo di differenza, io e lui? Troppi. 
Lui è troppo grande, per me. Chi ha la sua testa, le sue esperienze, cerca cose che io non sono pronto a dare. Non lo ero prima, non lo sarei neanche adesso. 
Sapete perché porto sempre un preservativo con me? Per evitare che, se dovesse accadere di nuovo quello che mi è capitato un anno fa, qualcuno possa infettarmi. Questa volta pregherei in ginocchio, pur di usarlo. Non mi importa del dolore, non mi importa delle ferite dentro: non voglio morire per colpa di uno stronzo che non sa tenerlo nelle mutande. 
Cazzo, perché sto pensando a una cosa del genere adesso? Achille mi sta ancora guardando, non si è mosso, e la musica mi pompa nelle orecchie dandomi la nausea. 
Devo andare via di qui, e lo devo fare subito. 
Mi giro, sento qualcosa alle mie spalle e immagino che Achille stia tentando di chiamarmi, ma io non voglio ascoltarlo. 
Non posso, davvero. 
Spintono la gente che si assembra davanti all’uscita e guadagno l’esterno, cominciando a respirare a pieni polmoni. Cazzo, stavo soffocando! 
Mi guardo intorno, mettendo a fuoco la notte, e mi chiedo come cazzo fare per tornare a casa. Non siamo molto vicini, da qui, e il pensiero di irrompere nel bel mezzo degli amplessi dei miei mi fa anche un po’ schifo… 
Cristo santo, ma come ho fatto a cacciarmi in questa situazione? Non è possibile… 
Inizio a camminare senza una meta, mani in tasca, mentre lo sguardo di Achille mi galleggia davanti, ricordandomi che forse ho rovinato l’unica possibilità di… cosa? Baciarlo? Abbracciarlo? Non so davvero se sarò mai in grado di andare oltre. 
«Non posso crederci… Finalmente sei tornato!» 
Quella voce… La sua voce. Mi volto di scatto.
«Mi avevano detto di averti visto dentro» continua, sorridendo al suo solito modo. «Sono contento di rivederti… Ci sei mancato…» 
Ci sei mancato. Ci. 
Avete mai sentito lo stomaco uscire dal vostro corpo e piombare fino a terra? Avete mai sentito le orecchie fischiare e poi diventare di fuoco, mentre la vista si annebbia? 
Avete mai sentito il petto compresso, i polmoni accartocciati, mentre le vostre braccia si muovono in scatti incontrollati che voi non riuscite in nessun modo a placare? 
Questo è l’effetto della paura, dello sgomento, del terrore. 
Terrore, sì, perché se sono uscito da un incubo una volta, chi mi assicura che riuscirò a farlo la seconda? Io lo sapevo che non sarei dovuto venire qui! Sapevo che non avrei dovuto accettare di seguire quella stronza di Cinzia! Lei sapeva, poteva immaginare, poteva… 
«Cazzo, mi sono chiesto un sacco di volte che fine avessi fatto… Eppure mi era sembrato ti fosse piaciuto…» 
«Hai una visione un po’ distorta del piacere» riesco a ribattere, mentre guardo Marco avanzare. Mi sono allontanato troppo, sono anche lontano dal parcheggio. Non mi rendo neanche conto di come abbia fatto ad arrivare fino alla spiaggia… Ero troppo sovrappensiero. 
Non ci dovevo venire qua, cazzo! 
«Se lo dici tu… Però secondo me Franci e Seba saranno d’accordo con me. Ti abbiamo cercato un sacco di volte, ma hai cambiato anche numero di telefono…» 
Mi è a due passi e incombe su di me. È troppo grosso, troppo alto, troppo grande. Il fatto è che la paura che provo nei suoi confronti me lo fa sembrare ancora più enorme. 
«Forse non avevo voglia di sentirvi» rispondo, facendo un altro passo indietro. La voce mi è uscita come se fosse quella di un ragazzino di cinque anni, ma in questo momento lo sono davvero. Mi ci sento. 
Vorrei scappare, cominciare a correre e mettere tantissimi chilometri tra noi, ma so già che non ci riuscirei. Cadrei, o lui mi raggiungerebbe con due falcate. Non sono mai riuscito ad allontanarmi abbastanza da Marco. Non sono neanche riuscito a dimenticare quello che lui e i suoi amici mi hanno fatto… 
Mi ero illuso, ma non è possibile. 
Non lo è mai. 
«Stai tremando… Non vedi l’ora di prenderlo in culo, eh?» mi chiede, roco, afferrandomi un braccio. E io sussulto, perché non me lo aspettavo. 
O forse sì, ma ho sperato fino all’ultimo che non accadesse. Almeno questa volta sarà solo lui… Almeno questa volta non sarò costretto a… 
«Levagli le mani di dosso altrimenti te lo ficco io qualcosa nel culo, e non sarà per niente piacevole.» 
Achille… No… No, davvero, queste cose accadono solo nei film o nei manga, ragazzi! 
Mi sento come Sailor Moon davanti a Metallia, con Milord che accorre in suo aiuto per sconfiggere la terribile regina del male. La mia personificazione del male è Marco, un bastardo di sette anni più grande che, insieme ai suoi amici, due anni fa ha… No, non mi va proprio di rivivere quei momenti.
«E tu chi cazzo sei?» sbotta Marco, guardando Achille mentre si avvicina. 
Vedo il figlio del mio titolare camminare sulla sabbia, lo sguardo duro illuminato dai lampioni lontani, i pugni stretti lungo i fianchi. Sembra incazzato. 
Sembra strano se in un momento come questo io non riesco ancora a capire perché si stia comportando così nei miei confronti? Gay? Etero? Lontano? Vicino? Amico? Possibile… amante?
Oddio, ho pensato davvero “amante”? 
La mano di Marco ancora mi trattiene, ma non con la stessa forza di poco fa. Io, comunque, non ho la forza necessaria per liberarmi di lui. Ce l’avrò mai? 
«Ti ho detto di lasciarlo andare. Non sto scherzando: ti spacco il culo e poi passo alla faccia. Lascia. Andare. Roberto» sillaba Achille, ormai vicinissimo a noi. 
E Marco lo fa… Mi lascia andare davvero, ma non si allontana, non si muove di un millimetro. Sembra che voglia difendere il territorio… Cazzo.
«Non ho ancora capito chi sei» ripete, incrociando le braccia e divaricando un po’ le gambe. Sono alti uguali, adesso lo posso vedere con chiarezza dato che sono uno di fronte all’altro, e anche in quanto a stazza ci siamo, eppure… Eppure sento provenire da Achille una forza che lo rende più “grande”. Perché? 
«Non devi capire un cazzo, te ne devi soltanto andare e lasciarlo in pace» ribatte il mio nuovo amico, osservando Marco da capo a piedi. 
«E per quale motivo? Non ti ho mai visto, non so neanche da dove viene, non…» 
«Lui è mio» lo interrompe Achille, scattando in avanti, una mano già intorno al collo di Marco. Ha ringhiato? 
Cazzo, mi sembra che abbia ringhiato! 
Non sta accadendo davvero, non sta succedendo a me. 
«O te ne vai o ti spacco le ossa» riprende Achille, a mezzo centimetro di distanza dalla faccia di Marco, e la sua voce è praticamente irriconoscibile. 
Oddio, pure lui lo è, ma cazzo se è un figo assurdo! 
«Tu vai a fanculo!» reagisce Marco, spintonando il nuovo arrivato all’indietro. 
Ecco, si sta mettendo male… Molto male.


- Secondo voi cosa succederà? -

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