Le avventure di Roberto continuano nella quarta puntata di Un'estate fuori programma.
Un chick lit in chiave lgbt per prepararci alla bella stagione e sorridere alle occasioni che ci presenta la vita... e un'estate fuori programma.
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Il viaggio è stato estenuante. Sì, be’, posso immaginare che una parola del genere dal vostro fedelissimo non ve la sareste mai aspettata, ma è l’unica che mi viene in mente per descrivere lo sforzo sovrumano che ho fatto per non tirare il freno a mano e saltare addosso a questo… Dio santo, come faccio a descriverlo?
Cioè, non avete idea di quello che ho provato ogni volta che scalava o aumentava marce, con quel braccio che scendeva verso il cambio, il muscolo che si tendeva, le vene in rilievo sull’avambraccio, la pelle già più scura… Deve amare il mare, al contrario mio.
Achille è una bomba, per me, e so già che non troverò mai il filo rosso per evitare che detoni tra il cuore e lo stomaco. Se esistono i colpi di fulmine, io sono stato appena folgorato. Porca trota!
«Arrivati…» mi dice a un tratto. Metto a fuoco la frutteria, proprio davanti a me, e tossicchio per darmi un contegno. Mi rendo conto che avevo lo sguardo vitreo, tipo “vacanza col morto”, eppure ho parlato…
Cazzo, a dire il vero non mi sono fermato un attimo. È sempre così, quando mi sento sotto pressione: non mi prendo neanche la briga di prendere fiato. Devo averlo rimbambito e ora sono certo che mi odia.
«Ehm… ok» bofonchio, cercando a tastoni la maniglia per aprire questo dannatissimo camioncino.
«Aspetta, faccio io» interviene lui, sporgendosi su di me, la mano sulla mia. Mi ritrovo a trattenere il fiato di nuovo, come poco fa, mentre lui (a tradimento) si volta verso di me. Cioè: si volta verso di me! Per la seconda volta nel termine di mezz’ora ho la sua bocca a pochi centimetri dalla mia, lo stesso sorriso di poco fa, gli stessi occhi luminosi che adesso posso vedere anche meglio grazie al sole che ormai è abbastanza alto da rischiarare ogni cosa.
«Io…»
«La portiera è difettosa» mormora «e se non sei abituato…» Lascia cadere la frase, ma i suoi occhi rimangono nei miei. Ve lo posso dire che non so più come cazzo mi chiamo? Chi sono? Da dove vengo? No, non sono ET, ma non mi dispiacerebbe un incontro ravvicinato…. Del terzo, ma pure del quarto tipo: va tutto bene!
«Ok» sussurro, mentre sento il sedile dietro alle mie spalle diventare parte integrante del mio corpo. Se non retrocedessi come sto facendo, a quest’ora avrei le sue labbra sulle mie.
Si avvicina.
Cazzo, si avvicina!
«Non fai neanche uno sforzo per fare finta, Rob… Come farò con te quest’estate?» mi domanda, e il suo sguardo adesso vaga tra i miei occhi e la mia bocca. E io sto infartando.
«Non capisco cosa…»
«Certo che sì» mi interrompe lui, ma non è affatto divertito. Mi fulmina, quasi, come se si fosse incazzato, poi si allontana di colpo, la portiera si apre e io rimango fermo come uno stoccafisso a guardarlo scendere.
«Muoviti! Papà sarà qui tra due minuti, e se non vuoi finire prima ancora di aver cominciato ti conviene darti una mossa» mi esorta dal retro del camion.
Ancora stordito, con il cuore che non so più che cazzo di fine abbia fatto, scendo come un automa e lo raggiungo. Lo osservo abbassare la sponda del mezzo e poi… Delirio.
«Cazzo» sibilo, guardando davanti a me il muro di cassette di frutta e verdura stipate in ordine. Non potrebbe entrarci neanche un dito! «Ma quanta roba hai preso? E dobbiamo scaricarla tutta?» domando, sbigottito. Ok il ragazzo di bottega, ma Cristo!
«Pensavi che la merce si materializzasse da sola in negozio?» mi rimbecca lui, divertito. Mi volto a guardarlo e noto che le sue labbra hanno ripreso quella piega che mi fa pregare Dio di non morire nello stesso istante.
«No, no, che c’entra…» riesco a replicare. «Solo che non credevo che…»
«Dai, muoviamoci. Le vecchiette saranno qui a momenti» incalza, salendo sul cassone per afferrare il primo imballaggio.
«Ma sono le sei e mezza!» commento, prendendo quei trecento chili di mele che mi sta passando. Cazzo, ma quanto pesa questa roba?
«Per alcune è già tardi» ammicca Achille, prendendo un’altra cassetta.
«Eccovi qua!» ci accoglie Mario, sorriso bonario e occhi vispi. Qua sono tutti mattinieri… Sta a vedere che l’unico che ha l’abitudine di dormire sono io!
«Buongiorno» saluto, tentando qualcosa di simile a un sorriso di cortesia.
«Un ciao andrà benone» mi rimbecca Mario, alzando la saracinesca del negozio. Sto per fare un passo avanti quando una specie di freccia rossa mi sfila sulla destra, dandomi una spinta che per poco non mi fa ruzzolare a faccia avanti.
«Dio, sta ancora dormendo! Sicuri che sia quello giusto?» latra la stronza di Mirella, sorpassandomi.
«Achille, mi dai una mano? La cella è ancora chiusa!» grida poi dall’interno. IO. LA. ODIO.
«Certo che sì!» replica lui, dandomi una pacca sulla spalla prima di raggiungerla. Non è proprio una pacca cameratesca, quanto… Una carezza.
Ok, mi sto rincoglionendo.
«Non ti fare intimidire da Mirella. Sembra cattiva, ma è innocua. E una gran ragazza» commenta Mario, accendendo le luci del negozio.
Inspiro, espiro, annuisco, poi deglutisco e faccio un passo avanti. Poi un altro. E un altro ancora. Sto per imboccare il corridoio che porta alla cella quando il treno di prima quasi mi travolge.
«Oddio, ancora così? Devo fare tutto io?»
«Senti, ma è una questione di stamattina, o sei stronza di natura?» ribatto, incazzato. Lei neanche mi guarda, così mi sposto per farla passare e tiro dritto. Questa ha bisogno di essere trattata come mia sorella.
Stronza fatta e finita.
«Non è stata una buona serata per lei, ieri» mi sussurra Achille all’orecchio. Mi volto, sempre con la cassetta di mele tra le braccia, e lo guardo. Più che altro mi ha spaventato, perché non pensavo di trovarmelo di nuovo così vicino. Cazzo, è passato neanche un giorno e ho già avuto… quante? Tre erezioni di fila? Non posso… Non posso sopportare uno stress del genere.
«Non è un problema mio…» replico comunque. Un conto è la cotta per lui, un altro è il NON trattamento che mi sta riservando la sorella gemella di Bloody Mary.
«Lo so, ma… Cerca di essere paziente. Ha ricevuto un duro colpo e non so fino a che punto c’è rimasta male» riprende Achille, aprendo la porta della cella per farmi entrare.
Dentro: venti gradi sotto zero.
Io: maglietta a mezze maniche.
«Porca puttana, il freddo!» gemo, mentre tutti i peli si intirizziscono.
«Ci farai l’abitudine» ammicca Achille, mostrandomi dove mettere la frutta, poi guarda Mirella che è entrata senza degnarci di uno sguardo, la osserva uscire e sospira, scuotendo la testa.
«Siete così amici?» gli chiedo, tornando sui miei passi.
«Lo eravamo… Prima di ieri sera» ribatte, e dalle sue parole capisco che ci sono cose che preferirei non aver capito.
«Ah» replico semplicemente. Be’, d’altronde che lui sia etero me lo hanno fatto chiaramente capire, quindi non dovrei rimanere così… perplesso. Eppure pochi minuti fa…
«Arrivano!» esclama Mirella sfrecciando all’interno del cucinino. Ne esce allacciandosi un grembiule mentre sul suo viso compare un sorriso alieno che finora non le ho mai visto.
«Ma che cazz…»
«Buongiorno, signora!» la sento dire, cordiale, ma prima che possa voltarmi a guardare la scena, la mano di Achille mi spinge verso l’esterno.
«Ascolta: qui dobbiamo lavorare e Mirella lo sa bene. Qualsiasi cosa tu abbia capito, non credo che corrisponda a verità, ma ti prometto di spiegartelo stasera» esordisce, guardandomi negli occhi prima di salire sul cassone e abbassare delle nuove cassette da stipare. «L’importante è che adesso non fai caso a niente e che ti concentri sul lavoro. Devi imparare…»
«Non devi dirmi niente» lo rassicuro, interrompendolo. «Io… neanche ci conosciamo, Achille, quindi vai tranquillo» preciso. Ed è vero. Perché dovrebbe farsi tutti questi problemi? Non ne vedo il motivo… Anche il fatto che si stia preoccupando così tanto per il mio posto… Non ha senso!
«Sono tranquillo» ribatte, scendendo con un balzo dal camion. Siamo a… quanti? Tre centimetri di distanza? Perché questo ragazzo ha la mania di parlarmi da così vicino? Che cosa gli abbiamo fatto di male io e i miei nervi? «Voglio soltanto spiegarti cosa succede qui.»
«Ok…» sussurro, sostenendo il suo sguardo. Ho l’impressione che stia per accorciare le distanze ancora di più, ma Mario mi salva in corner.
«Achille, spiega a Roberto tutto quello che c’è da sapere, ma in fretta» dice, afferrando un cartone di banane. È una mia impressione o gli ha lanciato un’occhiataccia? «Tu stai facendo tardi al corso e lui mi serve istruito. Da come si sta mettendo, oggi ci sarà il delirio.»
Mi volto e vedo il negozio gonfio di vecchie. L’aria indagatoria, occhialetti d’ordinanza in bilico su nasi adunchi, mani lubriche pronte ad afferrare e strizzare…
«Ho quasi paura…»
«Fai bene» è il commento di Achille che, passato il momento “confession time”, sembra aver messo il pilota automatico. «Vieni, ti faccio vedere.»
E queste, ragazzi, sono le ultime parole che comprendo prima di immergermi nella sacra arte della zucchina. E vorrei tanto che si trattasse di una metafora…